Una vita

A volte mi accade di pensarti, e, quando ti penso, sento la tua voce.

Una vita
A volte mi accade di pensarti, e, quando ti penso, sento la tua voce…

E non  mi piace. La tua voce imperiosa è stata la colonna sonora della mia infanzia.

Ne facevi un utilizzo improprio e spropositato, a volte.

Ricoprivi d’ansia i nostri  momenti sereni  e li trasformavi in silenzi colpevoli di una colpa inesistente.

Spesso era difficile vivere con te. Dipendeva dai momenti. I tuoi.

La mamma ti amava di un amore esagerato che escludeva tutto e tutti e, tutto, ti perdonava.

I nostri piatti finivano spesso nella pattumiera insieme al loro contenuto, quello che tu non gradivi.

La mamma si mortificava, si colpevolizzava, cercava di calmarti, cercava di sorridermi mentre parava i tuoi

pugni. Ma non ci riusciva  mai.

Dall’unico angolo dietro la credenza mi nascondevo da questa vita.

Vedevo la  mamma distrutta, ogni giorno di più dal tuo amore malato, dai suoi occhi pesti, dai suoi denti rotti da quelle

mani che una volta l’avevano accarezzata.

A volte restava ore accovacciata nell’ultimo posto dove tu l’avevi colpita, ricoperta d’infamie dalla tua mente malata,

bagnata della sua urina per quanto dolore l’aveva penetrata, offesa nella sua dignità, dai tuoi assurdi pensieri, dalle tue

richieste di confessioni, dalle tue deliranti convinzioni di tradimenti inesistenti che lei negava, disperata, implorante,

amandoti ancora, nonostante tutto.

Io non ti amavo più.

La nostra casa era piccola ma avrebbe avuto bisogno di tante riparazioni, ma tu non ne volevi sentire. Insistere nelle

richieste sarebbero state botte, mamma lasciava perdere.  Se tu non c’ eri io e mamma  eravamo serene. Facevamo

tanti  giochi insieme, io e lei. Era divertente. E che buone le sue torte. La cucina profumava di buono e quei momenti

sono rimasti indelebili nella mia mente. Con lei era sempre felicità.

Una sera non  lo sentimmo rientrare, cantavamo insieme le canzoncine e ridevamo e lei mi abbracciava  forte forte

dandomi i bacini sul collo: che felicità!

Il tuo pugno la colpì sulla schiena, vile e spietato, spalancò  i suoi occhi, ingoiò il suo respiro, prosciugò i canti e i

sorrisi e la mia e la sua felicità di un momento prima.  Barcollava, annaspava, rotolava, chiedeva   aiuto al suo corpo

fragile che si afflosciò sul pavimento come quello di una bambola di stracci.

Il terrore era sul mio viso, ora. Non mi avrebbe mai più abbandonato. Non piansi. Non parlai. Non avrei parlato più.

Tu indietreggiasti,  e forse per un attimo realizzasti la tua devastante maledetta furia e fuggisti via.

Non ti ho rivisto mai più. Solo tanti anni dopo qualcuno mi disse che quella sera, per strada, urlavi,correndo come un

pazzo e non ti accorgesti dell’autobus che arrivava e che ti prese in pieno. L’autista teneva le sue mani sulla testa,

disperato, la strada fu invasa dalla gente che guardava il tuo corpo scomposto e ormai privo di vita e qualcuno disse:

pover’uomo.

E’ vero, eri un pover’uomo.


8 risposte a "Una vita"

  1. Davvero, i complimenti sono superflui, piuttosto : non è mica vero? nel senso, sì lo so che poi è vero, che succede così spesso accanto alle nostre mura… che spero però, che questo non sia accaduto sul serio…

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    1. Grazie a te, Marianna.
      E’ vero, come hai detto anche tu che questo succede ad ogni angolo di mondo…e questa è una ferita
      così grande che riesce difficile curare.
      Ma io no.
      La mia infanzia è stata felice, per fortuna, come quella di tante bambine privilegiate.
      Quelle che hanno avuto due genitori che si sono amati.
      Un abbraccio,
      Lucia.

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